Borghi medioevali e fortilizi.
1 - Monteveglio.
Il comune di Monteveglio si trova sull'appennino bolognese a 25 chilometri da Bologna.
Il colle dell'Abbazia e la zona circostante per un totale di 15 ettari, ricchi di flora particolare e di fauna ( in particolare volatili ) esclusiva nella zona, sono stati costituiti in Parco regionale dell'Abbazia di Monteveglio.
Il colle dell'Abbazia e la zona circostante per un totale di 15 ettari, ricchi di flora particolare e di fauna ( in particolare volatili ) esclusiva nella zona, sono stati costituiti in Parco regionale dell'Abbazia di Monteveglio.
Il borgo fortificato
sorge sulla cima di un colle a guardia della vallata all'interno del Parco
Regionale dell'Abbazia di Monteveglio: la posizione dominante e l'isolamento
dai restanti rilievi collinari ne fanno la più importante e inespugnabile
roccaforte matildea della zona. Il nome della località risale al periodo
romano; documenti di antica data riportano infatti il nome della località: da
tali antiche carte si desume che il nome di Monteveglio poteva essere Mons
Belli, o Mons Bellus, o Mons Bellius, e cioè monte della guerra, o monte
grazioso, o monte della famiglia Bellia (di accertata origine romana ).
Secondo gli storici, è più probabile il primo caso, in quanto pare che, prima del loro stanziamento, i Romani abbiano sostenuto una battaglia contro i Galli Boi proprio nei pressi di Monteveglio.
L'antico abitato posto sulla collina ha avuto un passato glorioso, un episodio che spinse il monaco Doninzone, contemporaneo di Matilde di Canossa e cantore delle gesta della gran contessa, a definire Monteveglio "memoranda nei secoli". Questo attributo fu ripreso dallo storico contemporaneo Albano Sorbelli, che lo immortalò sulla lapide posta all'ingresso del Castello.
Attorno alla metà del X secolo Monteveglio divenne feudo dei conti di Canossa, nel 1076 la località fu ereditata da Matilde, contessa di Canossa e marchesa di Toscana. Nella lotta tra l'impero e il papato, Matilde di Canossa si schierò a fianco della Chiesa e quindi contro l'imperatore Enrico IV.
L'imperatore pensò di punire Matilde di Canossa e mosse alla conquista delle sue terre. Ma fu proprio Monteveglio che mandò in fumo i piani dell'imperatore: resistette vittoriosamente per quattro mesi al drammatico assedio delle armate di Enrico IV, il quale, umiliato e addolorato per la perdita del figlio durante la battaglia finale, ordinò la ritirata.
Storia anche miracolosa, come quando, nella notte tra il 24 e 25 marzo del 1527, ricorrenza dell'annunciazione di Maria, Monteveglio, stretta d'assedio dai Lanzichenecchi, fu salvata da una tempesta di neve che disperse i feroci assedianti. L'episodio è ricordato in una lapide seicentesca murata nella parete posta a sinistra dell'altare della Chiesa dell'Abbazia.
Varcato l'accesso
al borgo, una breve gradinata in legno conduce alla massiccia torre
castellana, che attualmente ospita un centro visita dedicato del Parco
Regionale dell'Abbazia di Monteveglio. L'ingresso alla torre è preceduto da un
cammino di ronda con merlature a coda di rondine, i cosiddetti ghibellini,
attraverso cui si gode una splendida vista sulle colline circostanti, un
mosaico di rilievi boscosi, piccole valli e grigi calanchi.
Entrati nel borgo, sulla destra c'è un'antica abitazione in
mattoni, detta (non si sa perché), "casa di San Benedetto", risalente
al Duecento, che serviva per ospitare i pellegrini.
Fatti pochi passi in avanti, si vede l'Oratorio di San Rocco, (del 1631) sulla sinistra. Questo grazioso edificio, oggi sempre chiuso e dall'interno spoglio, è caratterizzato dalla prima campata che reca chiaramente i segni della tamponatura del portico originario d'accesso.
Procedendo
sull'acciottolato tra le antiche case in pietra, si distingue la mole dell'Abbazia
di Santa Maria Assunta, edificio romanico oggi sede della Comunità dei
Fratelli di San Francesco.
Il piccolo borgo si sviluppa longitudinalmente, attorno all'unica strada, caratterizzata da graziose villette in mattoni con giardinetti. Poco prima di giungere alla chiesa, sulla sinistra si può notare che davanti ad un'abitazione,vi sono due fioriere ricavate da rocchi di colonne di marmo del I secolo d.C., verosimilmente provenienti da una villa romana della zona. Dallo stesso edificio, con ogni probabilità, derivano due lastre di marmo con decorazioni a girali che si notano sulla facciata della stessa abitazione. Ancora pochi passi e si giunge alla chiesa di Santa Maria.
Il piccolo borgo si sviluppa longitudinalmente, attorno all'unica strada, caratterizzata da graziose villette in mattoni con giardinetti. Poco prima di giungere alla chiesa, sulla sinistra si può notare che davanti ad un'abitazione,vi sono due fioriere ricavate da rocchi di colonne di marmo del I secolo d.C., verosimilmente provenienti da una villa romana della zona. Dallo stesso edificio, con ogni probabilità, derivano due lastre di marmo con decorazioni a girali che si notano sulla facciata della stessa abitazione. Ancora pochi passi e si giunge alla chiesa di Santa Maria.
La pieve di Santa Maria di Monteveglio è nota nei documenti dal 973, ma pare posare sulle vestigia di un tempio romano, come risulta anche da numerosi resti marmorei riutilizzati in varie parti del complesso. È senza dubbio una delle chiese plebane più antiche del bolognese e riuscì a conservare una certa autonomia rispetto alla potentissima abbazia di Nonantola: da essa dipesero sin dai tempi più antichi molte delle chiese situate nelle valli del Samoggia e del Lavino. A partire dalla metà del XII secolo si insediarono nella pieve i Canonici Regolari di San Frediano di Lucca: alla loro venuta si deve l’edificazione della chiesa nelle attuali forme romaniche arcaiche, utilizzando il laterizio, materiale tipico delle costruzioni di pregio del territorio bolognese, secondo schemi architettonici derivati dal territorio toscano (in particolare l’arco della porta laterale mostra questa influenza, essendo molto simile a quelli della chiesa di San Frediano di Lucca). Dopo il 1456 (la pieve aveva conosciuto una fase di decadenza, coincidente con quella del castello) la chiesa ed il monastero furono affidati ai Canonici Lateranensi di San Giovanni in Monte di Bologna, a cui è da attribuirsi la costruzione o ricostruzione dei due chiostri, il più ampio dei quali conserva solo il lato meridionale (il resto fu abbattuto nella prima metà dell’Ottocento), ornato con capitelli romanici, recuperati probabilmente da un chiostro precedente, l’erezione di un campanile sovrapposto all’abside destra e la sopraelevazione della navata sinistra della chiesa. I canonici provvidero ad abbellire questi luoghi anche con nuovi arredi e decorazioni, fra le quali figura un pregevole dipinto di Lorenzo Costa raffigurante l’Assunta, ora conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Nei secoli successivi il monastero acquistò una notevole prosperità economica, fino a possedere gran parte del territorio parrocchiale: le sue proprietà arrivarono a formare un corpo compatto di oltre venti possessioni, area in parte coincidente con l’attuale zona protetta. Il complesso era già in decadenza quando, nel 1796, il regime napoleonico decretò la soppressione delle proprietà ecclesiastiche e determinò la fine di tanti secoli di splendore. La chiesa superiore è a tre navate, separate da due file di colonne ad archi ogivali, di ispirazione araba. Nella navata di destra vi è una lapide di marmo dedicata alla contessa Matilde di Canossa e in quella di sinistra un bellissimo antico crocifisso di legno scolpito e dipinto. Nelle pareti delle navate laterali sono ricavati due reliquiari, chiusi da sportelli di legno scolpito.
In quello di sinistra è conservata la riproduzione della Madonna di San Luca, che viene portata a valle nell’oratorio dell’asilo, negli stessi giorni nei quali l’immagine originale scende dal Colle della Guardia a Bologna. Sulle due colonne di testa delle navate vi sono i capitelli portanti un’incisione che ricorda l’antica presenza dei Canonici regolari lateranensi. Nella navata centrale c’è infine una pietra tombale, con un’incisione seicentesca che ancora ricorda i canonici regolari. La pietra tombale chiude l’accesso all’antico cimitero dei canonici, posto sotto il piano della chiesa. Dalla navata centrale, una scala barocca adduce al presbiterio, posto sopra la cripta, anch’esso illuminato da finestrine chiuse da lastre di alabastro. Al centro del presbiterio a tre absidi c’è l’altare di marmo rosso di Verona, poggiato su cinque colonne, e ai lati il coro rinascimentale, con scanni intagliati in noce. A destra vi è un organo settecentesco e nella parete di sinistra la lapide seicentesca che ricorda l’episodio dei Lanzichenecchi. Sull’abside di sinistra, sorge il campanile quattrocentesco. Tutta la chiesa, prettamente romanica, ha struttura in cotto e non è ornata da dipinti, ad eccezione di alcuni affreschi cinquecenteschi nella cripta, rappresentanti tre santi e un angelo. Nelle volte e nelle calotte absidali vi sono lievi pitture del Quattrocento e del Cinquecento, ancora di spiccato sapore medioevale. Anche nel presbiterio vi è una decorazione a fasce rosse con motivi ornamentali in nero, in parte originale del XIII secolo e in parte rifatta al tempo degli ultimi restauri. Sia dalla cripta che dal presbiterio si accede alla sagrestia, posta nel corpo dell’antico convento. In tale locale vi è uno splendido e grandioso armadio datato 1487, intarsiato con figure rappresentanti fontane, chiese, castelli, fiori e un cuore stillante su un calice. Nella sagrestia vi è inoltre un magnifico leggio quattrocentesco in legno intagliato, con gli stemmi dell’abbazia e del castello di Monteveglio, che sostiene due grandi e antichi libri d’ore. Vi è infine nello stesso locale un bellissimo orologio a colonne, dai vivaci colori.
Il chiostro è costituito da sei archi nei lati nord-sud e sette nei lati est-ovest. Il portico si ripete uguale nel loggiato superiore, sul cui piano si trovano le celle occupate dai canonici fino alla fine del Settecento. Tutti i capitelli delle colonne sono uguali fra loro. Addossato al lato nord dell’abbazia vi è l’unico portico rimasto del chiostro romanico, costituito da otto arcate ancora intatte, che si ripetono nel loggiato superiore. Tale chiostro fece parte della struttura primitiva del convento, ed in esso i montevegliesi fecero, nel 1198, atto di sottomissione a Bologna. Disgraziatamente, nella prima metà dell’Ottocento, tre dei quattro lati dello splendido chiostro furono abbattuti, ed il materiale andò disperso. Rimangono della primitiva struttura soltanto i capitelli, di foggia diversa uno dall’altro. Al centro dell’area claustrale vi è un pozzo settecentesco in mattoni, con caratteristico tettuccio. Al piano superiore, oltre al loggiato, vi sono le celle dei canonici, restaurate con soffitti di legno a tasselli, di stile bolognese quattrocentesco. Nell’angolo nord-occidentale dell’abbazia vi sono due caratteristiche bifore quattrocentesche, ma ancora di spiccato stile romanico, che costituivano il belvedere del loggiato interno. Le finestre, con colonne di marmo e bifore consentono la visione delle colline occidentali. Tutto il complesso venne riportato alle (presunte) forme originarie dai lavori effettuati tra il 1924 e il 1930 sotto la guida di Giuseppe Rivani, che eliminarono le aggiunte barocche.
(fonte: “Le valli del Samoggia e del Lavino nella Storia. Itinerari luoghi personaggi” Edito dalla Comunità Montana Unione dei Comuni Valle del Samoggia 2007)
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